
L’abilità di trovare del bello e del fascino in tutto ciò che ci circonda è, in qualche modo, una delle prerogative che ha contraddistinto i momenti di più grande ingegno della storia umana.
In particolar modo l’arte, storicamente, è sempre stata il principale tramite per la ricerca del bello, dell’espressione dell’essere portata ai suoi massimi termini e, soprattutto, della passione.
Non è però solo arte quella che siamo abituati a ritrovare nei dipinti di un museo, tra le pagine di un libro o tra le note di una canzone. E’ anzi arte tutto ciò che può essere elevato ad un paradigma superiore grazie a cura, attenzione e voglia di comunicare.
Così è arte anche quella culinaria e del buon mangiare tanto quanto quella del buon bere e, nello specifico, del buon cocktail. Non è un caso, in fondo, se a supporto dell’estro creativo di molti artisti capaci di fare la storia vi sia sempre stato un buon inebriante bicchiere.
Dall’assenzio dei poeti maledetti ai Bloody Mary di Hemingway e Carver fino ad arrivare agli insospettabili Mojito di Neruda. L’arte ha sempre cercato supporto nel cocktail ed il cocktail, in se, è sempre stato arte.
Lo sanno bene Manfredi e Michele, i due volti dello storico 77, locale che immerso nelle vie della Viterbo storica di San Pellegrino ha deciso di proporre il cocktail in quanto commistione non solo di bottiglie ma, soprattutto, di cura, idee e attenzione.
E’ così, allora, che nasce questo breve viaggio alla scoperta delle idee e delle intenzioni di chi, nell’immobile Viterbo, sta cercando di sdoganare il modo di vedere, concepire e godere l’alcool.
L’incipit del 77. Da dove nasce l’idea e l’intento che ha portato all’apertura di uno dei locali, ad oggi, più simbolici del centro storico Viterbese?
Manfredi: Nasce dalla voglia, che avevo fin da quando ero giovane, di aprire un’attività . Inizialmente lavoravo in un altro locale nei paraggi e poi ho deciso di mettermi in proprio. Mio fratello è entrato in società con me aiutandomi nell’iniziare questa avventura, partita grazie anche a soldi lasciatici in eredità.
Il nome non deriva dal numero civico o dalla mia data di nascita come tutti pensano, purtroppo (risata ndr). Prende anzi spunto dalla mia passione per il punk italiano e, in particolare, da un pezzo dei CCP, Emilia Paranoica. Un nome spontaneo, molto riconoscibile e caratteristico che è rimasto poi nel tempo.
Quindi, almeno inizialmente, era un locale “tutto in famiglia”…
Manfredi: Il progetto era iniziato come uno sfogo mio e di mio fratello. Lui era un neofita e beveva soltanto guinness. Io quindi mi occupavo di birre, vini, drink ecc. Oggi è Orlando a occuparsi delle birre (ha fatto un corso da birrofilo) ed ha imparato tanto. Non solo, nel tempo, sono aumentate le nostre referenze nel mondo della birra, di cui disponiamo di una vasta offerta con più di sessanta referenze nell’ambito, ma nel mentre anche la mia conoscenza sul mondo dei drink è cresciuta.
Per quanto riguarda te, Michele, sei letteralmente il volto nuovo dietro al bancone del locale. Come è iniziata la tua esperienza?
Michele: Io ho iniziato da cliente, cominciando a frequentare il 77 al secondo anno di apertura. Elisa, la seconda di Manfredi per cinque anni, mi inquadrò e mi volle a lavorare. Loro erano però completi a livello di staff e riuscii a inserirmi solo quando se ne andò un’altra ragazza. Io avevo già fatto un corso da barman molto tecnico, mentre da cliente avevo fatto la teoria chiedendo costantemente informazioni su ogni cosa che vedevo e assaggiavo. Lavorando a Roma sono stato accessorio fino al Maggio di quest’anno, quando sono entrato a far parte a tempo pieno dello staff cercando di dare un impronta moderna sul piano dell’offerta, cercando di stare appresso all’evoluzione del mondo dei locali e delle loro proposte.
Evoluzione?
Michele: Esattamente. Il mondo nei confronti degli alcolici è cambiato. Vi è decisamente molta più attenzione e, in questo campo, gli italiani rappresentano un’eccellenza internazionale. Nella top 100 al mondo ci sono sette locali italiani ed uno dei migliori bar, The Connaught (Londra) ha uno staff completamente italiano.
Ad oggi, dicembre 2021, il settantasette ha cambiato volto e offerta. Appunto si è evoluto proprio seguendo quella nuova attenzione che al mondo viene data al panorama degli alcolici. E’ stato un cambiamento improvviso o graduale?
Manfredi: Il cambiamento è stato violento. Forse anche imposto. Il covid sicuramente ha influito molto. Ciò che ci ha fatto decidere di cambiare è il livello che avevamo raggiunto. Siamo più persone preparate e che ci credono. Prima il background era differente e alcune persone venivano da altri tipi di scuole.
L’idea iniziale del locale era di aprire delle succursali, fuori da Viterbo o dall’Italia. Il covid ha totalmente troncato questo intento.

E come siamo arrivati dalla filiale ad un differente modo di vedere e proporre il mondo degli alcolici?
Manfredi: Ad influire sul cambiamento è stata anche un’esperienza avuta ad un corso organizzato dalla Campari. Era organizzato in un paesino tra Rimini e Ravenna. Dovevo imparare a fare i Punch, cosa che non so fare. A quel corso hanno spiegato talmente tante cose fino a portarmi al cambiare il mio modo di vedere adottando una nuova impostazione. Ho iniziato a voler mettere in primo piano la qualità estrema a cominciare dalle bottiglie, i vini, il tutto ad un prezzo contenuto per ciò che è il prodotto e anche, soprattutto, il mercato.
Il menù è una novità di un paio di anni. Abbiamo tentato di levare la dinamica del “fai tu”, del cocktail improvvisato ma non sempre realizzabile specie con tanti clienti, mettendo comunque in primo piano la creatività e le idee di chi sta dietro al bancone. Ora siamo al quarto menù (che stabiliamo in maniera stagionale).
Domanda forse scontata ma necessaria: cosa ha significato per voi il periodo del Covid?
Manfredi: L’estate post covid è stata uno sfacelo. Nel momento in cui avevamo deciso di evolverci siamo stati costretti a involvere. Le persone non potevano entrare nei locali e li distribuivamo in bicchieri di plastica da una finestrella. Però abbiamo tenuto duro e, avendo anche una figura professionale come Michele che si impegna molto, abbiamo poi potuto alzare il tiro ricominciando anche a partecipare a svariati concorsi nazionali e internazionali.
Proprio da quel che so, tra l’altro, Michele ha di recente partecipato ad un concorso con un suo drink
Michele: Mi sono piazzato sesto a livello nazionale con un drink che riprendeva il Suntory Mizuwari, un drink giapponese che è fondamentalmente un whisky diluito con acqua e ghiaccio che va a riprendere la classica cerimonia del the. Il drink riprende questa cosa. Ha un’infusione di scorze d’agrumi, una parte dolce portata da un vino dolce giapponese, un miele al matcha ecc. Riprende le componenti del gin fizz, senza però averle realmente al loro interno ma, anzi, solamente richiamandole.
Quanto è importante il feedback dei clienti in un lavoro simile?
Michele: E’ un lavoro che fai anche per quello. I drink vengono costantemente testati. Per il cocktail citato prima ho speso due settimane a fare test su test cercando la combinazione giusta.
Intanto il ruolo del bartender si evolve e, con un locale come il vostro, sembra tendere sempre più all’offerta “gourmet”, un poco come con l’esplosione negli ultimi anni della cucina gourmet, o sbaglio?
Manfredi: Questo è il nuovo trend dei bar. Abbiamo fatto diventare star gli chef, che sono sempre chiusi in cucina e non conversano con i clienti. Noi barman, invece, abbiamo sempre approssimato tutto e ora stiamo ritrovando il modo per tornare protagonisti. Alle volte si arriva anche all’eccesso della serietà e l’estremo della complicatezza.
Michele: Noi abbiamo un menù molto semplice con varianti su cocktail classici, nonostante questo anche con cose semplici siamo riusciti a produrre una drink list che ci da molta soddisfazione
Domanda spinosa: qual è il vostro rapporto, da locale, con la città di Viterbo?
Manfredi: Da sempre questo locale è stato abbastanza ostracizzato dal comune avendo spostato quel poco di movida immaginaria di Viterbo. Agli abitanti meno propensi a queste cose da molto fastidio e il comune non pensa agli introiti che un locale può portare. Si concentra unicamente sui voti e non è interessato, magari, a ciò che pensano gli studenti, specie i fuori sede che non votano.
Gli stessi studenti che sono quelli, tra l’altro, che portano i soldi ai bar, che poi pagano le tassse e così via in un potenziale ciclo virtuoso. Sono quelli che pagano gli affitti e non solo, questa era e doveva essere una città Universitaria. Vi è poi una profonda indifferenza verso le tante eccellenze del territorio. Un mio cocktail, per fare un esempio, è arrivato decimo in un concorso internazionale, fatto con prodotti tra l’altro della tuscia viterbese. Nonostante ciò non è uscito nulla, un articolo, nessun interesse. Nonostante ciò è un eccellenza, come molte altre che a Viterbo esistono e non vengono minimamente sponsorizzate. C’è una grossa immobilità che frena tutto l’ambiente.
Michele: E parlando di immobilità, in un articolo letto qualche anno fa di un professore della LUISS leggevo del gap economico presente tra chi ha iniziato a lavorare subito e chi ha invece studiato. Viterbo era praticamente penultima in classifica e questo la dice lunga. Ti ci vorrebbero tipo sessant’anni (iperbolicamente ndr), dopo aver studiato, per recuperare i “soldi persi”.
E come si inscrive la vostra nuova offerta, in quanto locale, con le necessità della città e del centro storico?
Manfredi: Stiamo cercando di educare i clienti, viterbesi e non, al fatto che Viterbo è meravigliosa ed ha tanto potenziale che, sfruttato bene, ti può portare ovunque. E’ vero, abbiamo aumentato i prezzi e la qualità, il locale è cambiato anche per quieto vivere del quartiere, per far vedere che non vogliamo la calca ubriaca. Abbiamo anche messo anche un servizio d’ordine che gestisce le persone nei giorni più “calienti”.
Da parte nostra c’è la massima collaborazione. La zona si è ripulita molto. Quando abbiamo aperto la movida si fermava praticamente da Lucio ed in zone come via delle Caiole, camminando, per terra potevi trovare anche siringhe. Ora, girando a San Pellegrino, sei più tranquillo. Se ti sposti in altre zone di Viterbo, invece, sono peggiorate tanto.
Ed è qui che avete deciso di levare gli shot dal menù, per un’esperienza del bere più “educata”, o sbaglio?
Manfredi: Noi qui vogliamo un’esperienza del gusto. Abbiamo levato gli shot perché non vogliamo che le persone si sfascino.
Michele: La policy del locale è evitare che si crei una clientela di persone che vogliono devastarsi. Stiamo facendo un lavoro di un certo tipo e non è quello dello shot.
Manfredi: Promuoviamo il bere responsabilmente. Sapere quello che stai bevendo e quando lo stai bevendo. I nostri clienti finalmente hanno capito la nostra offerta e adesso, per alcuni, andare a bere da altre parti è più difficile.
E proprio parlando di bere responsabile, e bere conoscendo ciò che abbiamo nel bicchiere, proprio al 77 per la prima volta, nella serata di Lunedì 13 dicembre, si terrà un evento di degustazione alcolica per la chiusura del decennale dell’associazione Univercity Viterbo.
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