Dante e la “Selva Oscura” nella Tuscia: l’ipotesi che fa sognare i viterbesi

Dante
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Un’ipotesi alquanto affascinante che difficilmente potrà essere corroborata o smentita. È tuttavia suggestivo proporla al popolo della Tuscia, parlando peraltro della contesa nata tra varie zone del Centro-Italia in merito alla risoluzione del caso

Un’ipotesi particolarmente suggestiva quella avanzata da vari studiosi (e appassionati) del territorio viterbese oltre che del “massimo poeta”; secondo questa teoria la “selva oscura” cantata nei tre versi più famosi d’Italia (o del mondo?) sarebbe ispirata dallo stato selvaggio che, nell’epoca del ‘300, pervadeva il territorio della Tuscia, in particolare sui Monti Cimini.

Uno stato selvaggio documentato, tra l’altro, anche dai molti pellegrini “alfabetizzati” che attraversarono quel sentiero, lasciandocene traccia testuale attraverso la stesura di diari di viaggio; c’è chi ne parlò in modo positivo, come un luogo di meravigliosa conciliazione con la natura più inviolata, e chi invece, come appunto (forse) Dante, mise in risalto la “tortuosità” ed il “caos” di tale zona.

L’ipotesi nasce da una coincidenza di date che non avrebbe potuto portare il sommo poeta altro che nelle vicinanze del territorio della Tuscia: esiliato tra il 1300 ed il 1301, Dante iniziò a scrivere la Divina Commedia (e quindi la Cantica dell’Inferno che inizia con i versi della “selva oscura”) proprio in tale lasso di tempo, e si calcola che, dovendo raggiungere il Giubileo indetto da Bonifacio VIII per il 1300 a Roma, passò necessariamente per la “Città dei pellegrini”, la nostra Viterbo, perdendosi e rimanendo certamente colpito dalla natura che circondava le mura viterbesi.

A supporto di tale tesi è stata ultimamente inserita una nuova osservazione: Tito Livio, raccontando storiograficamente di eventi avvenuti nel 310 a.C., affermò che nella “A quei tempi la Selva Cimina era più impervia e spaventosa di quanto siano apparsi, in tempi recenti, i boschi della Germania” e che “nessuno fino ad allora aveva osato avventurarvisi, nemmeno i mercanti”.

In Età Augustea era ancora vivo il ricordo della “impraticabile” Selva Cimina, fatto che testimonia come nell’Italia centrale, così vicino a Roma, non ci fosse altra Selva tanto grandiosa, estesa, intrigata e riconoscibile come quella Cimina. Certo non si può pensare che Dante non conoscesse benissimo le opere dei romani: si deve anzi sottolineare la passione filologica riservata dal fiorentino proprio ai classici latini dell’Impero, predilezione che potrebbe averlo, molto probabilmente, portato a conoscere anche questi testi di Tito Livio e dunque a ispirarvicisi, oltre che per conoscenza diretta, anche letteraria.

Una base da cui partire per verificare l’ipotesi che certo non è sufficiente a corroborarla; esiste, peraltro, una simpatica contesa tra varie zone del centro-Italia proprio per la risoluzione del caso: oltre ai Monti Cimini, gli abitanti di Farnese sostengono che l’ispirazione dantesca sia nata con la Selva del Lamone, mentre i lucchesi con l’Orrido Botri (cioè una profonda gola calcarea, come un canyon).

Che Dante sia stato nei pressi delle zone della Città dei Papi è indubbio: conobbe certamente la tragica storia avvenuta a Piazza del Gesù con protagonista Enrico di Cornovaglia (alla quale dedicò peraltro alcuni versi del XII canto infernale), e scrisse poi, sempre nella sua opera maggiore, del Bullicame viterbese, attraverso i seguenti versi:

«Tacendo divenimmo la ‘ve spiccia

fuor della selva un picciol fiumicello,

lo cui rossore ancor mi raccapriccia.

Quale del Bullicame esce ruscello

che parton poi tra lor le pettatrici,

tal per la rena giù sen giva quello.

Lo fondo suo ed ambo le pendici

fatt’era ‘n pietra, e margini dallato»

Ciò che è più suggestivo e più fa sognare gli appassionati di letteratura e di arte in generale, tuttavia, è la suggestiva ipotesi della Selva Oscura tra i monti cimini:

«Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura»

Una selva oscura, impraticabile e spaventosa, nella Tuscia che finì per coincidere metaforicamente, in mente a Dante, con uno dei periodi più bui della sua vita personale, divenendo addirittura “il preambolo della discesa agli inferi”.

Simone Chiani

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