
Achille Lauro ultimamente è stato accusato di queerbaiting dalla comunità LGBT+. Ma cos’è il queerbaiting?
Il queerbaiting è una mera tecnica di marketing che punta ad accalappiare persone della comunità queer senza mai esporsi davvero sul tema, quindi una pratica in cui si cerca di includere una fetta di persone che non è il pubblico tradizionale semplicemente perché “và di moda”.
Faccio una premessa – forse – doverosa: mi piace Achille Lauro, sono andata ai suoi concerti, ogni tanto canticchio i suoi testi mentre mi chiedo anche perché io li stia ascoltando dato che si discostano completamente dal mio genere musicale. Achille Lauro ha quella sorta di magnetismo capace di prenderti e trasportarti in un altro mondo. Ma al di là della musica (che può essere discutibile o meno) c’è molto molto altro.

Personalmente ho imparato ad apprezzarlo quando ha portato il travestimento da “The Virgin Queen” lo scorso anno a Sanremo. Avevo immaginato che sarebbe passato un messaggio positivo che avrebbe introdotto una crepa – anche lieve, impercettibile – all’interno della mascolinità tossica che trapela quotidianamente nella nostra società.
Ecco, è proprio quello il punto. E’ proprio lì il problema. Achille Lauro, spenti i riflettori e uscito di scena, si toglierà il costume, che per lui è solo un vestito cucito su misura da Gucci (di cui Achille è ragazzo immagine) si struccherà e andrà a dormire tranquillo senza il timore di essere ammazzato perché “travestito”. Questo lui se lo può permettere mentre altre persone, invece, non hanno questo privilegio.
Certo si può discutere di quanto sia importante una figura come quella di Achille, che ormai è un’icona “queer” anche se politicamente vuota. Varie ricerche hanno dimostrato quanto sia positivo un gesto del genere in una comunità fortemente eteronormata come la nostra e che ha bisogno di personaggi che rompano le righe, gli schemi. Figure che frammentino anche la mascolinità tossica e il machismo intrinseco in ognuno e ognuna di noi.

Ci dimentichiamo, però, di come si senta la comunità queer stessa
Questo perché se da una parte Achille può essere la medicina per un pubblico eteronormato dall’altra si sta togliendo spazio a persone che ogni giorno lottano per i propri diritti e per quelli della comunità LGBT+ rischiando anche la vita perché, alla fine, portare in scena dei costumi senza prendere mai posizione, senza mai fare un reale coming out, è fin troppo facile. Di fatto per quel che ne sappiamo Achille Lauro è un maschio cisgender eterosessuale bianco privilegiato.
Quindi mi chiedo “Sarebbe stato lo stesso se sul palco si fosse presentata una persona queer che magari non rientrava nemmeno nei canoni abili-normativi? La società avrebbe comunque accettato quel personaggio o l’avrebbe schifato come fa per la maggior parte del tempo, dopo aver spento la tv?” Secondo me no.
C’è un doppio standard davvero notevole e palese ma sembra che nessuno e nessuna se ne renda conto (a parte le persone che ci sono dentro). Quindi mi chiedo: quanto può far bene pensare che una persona queer sia un personaggio pubblico che in scena indossa abiti che rimandano a una libertà sessuale e di genere, ma che poi, in fin dei conti, sembra che non ci creda mai abbastanza?

Il privilegio di Achille Lauro è stato quello di dichiararsi senza identità, il che è un po’ ambiguo
Nella vita di tutti i giorni Achille non si spende per le sue battaglie, non si espone, infatti una delle sue frasi più dibattuta è: “Gay, etero, fluido? Lo lascio al caso”. Certo fa comodo affermare una cosa del genere, soprattutto in questo periodo storico quando sappiamo che rivendicare un’etichetta è sì un atto politico, ma è anche un atto che ti vede ai margini della società, un atto che ti costringe a essere schiavo di uno stato che sta facendo di tutto per toglierti i diritti invece che tutelarti.
Ecco perché fare coming out pesa. Ecco perché esporsi – quando si è un Achille Lauro – può far bene. Può essere una presa di posizione, sì, ma va fatta in termini diversi. Così è un atto vuoto.
Sorgono ancora più dubbi dopo il monologo che ha accompagnato la messa in scena del suo primo “quadro” dove ribadisce l’esigenza per l’uomo dell’amore di una madre, schernendo così le famiglie omogenitoriali. Abbiamo bisogno di una rappresentazione coraggiosa che includa persone davvero queer che si battono tutti i giorni per la comunità, abbiamo bisogno di un’affermazione chiara, di una presa di posizione che non abbia paura di etichettarsi.
Di una persona che non abbia paura della rivendicazione del termine “queer” ma che ne faccia il suo punto di forza (non solo sul palco con i vestiti di Gucci) perché alla fine, se ci pensiamo anche solo un attimo, Achille Lauro è Achille Lauro semplicemente perché è un uomo privilegiato, e se a portare la queerness è un uomo bianco etero cisgender abbiamo un problema di appropriazione culturale.