
Uno dei film più attesi e più amati del periodo natalizio è How the Grinch Stole Christmas, più comunemente noto come “Il Grinch”.
Questo cult di natale è tratto da un libro di Theodor Seuss Geisel pubblicato nel 1958 e forse non tutti sanno che l’autore, finché era in vita, non ha mai voluto cedere i diritti per una trasposizione cinematografica.
Nel 2000 però accade una cosa inaspettata: il suo libro diventa un film interpretato da Jeffrey Tambor, Jim Carrey, Taylor Momsen, Christine Baranski, Bill Irwin e Molly Shannon, la cui regia viene affidata a Ron Howard.
La piccola Cindy Lou, durante il periodo natalizio, nota che tutta la popolazione del paese di Chinonso è indaffarata a comprare e spedire regali, tanto da farle sorgere il dubbio che non sia questo il giusto spirito natalizio; cerca allora di cambiare le cose, convincendo il sindaco ad invitare alla festa il Grinch, che inizialmente accetta ma poi, durante la preparazione dei festeggiamenti, viene assalito dal ricordo delle frustrazioni subite da piccolo e decide quindi di vendicarsi rubando tutti i doni compresi gli alberi di Natale.

Senza dilungarci oltre sulla trama, focalizzeremo ora l’attenzione sul tipo di linguaggio utilizzato dal Grinch, che appare quasi sempre ostile
In generale, va detto che il lessico ostile è solo uno degli strumenti verbali utilizzati per incitare alla denigrazione, e si riscontra quando si instaura una relazione conflittuale tra soggetti che dialogano tra loro. Come è noto, tale relazione può manifestarsi in maniera diversa a seconda del sentimento su cui fa leva: un discorso iracondo si basa, infatti, su un’arrabbiatura motivata da un’offesa, diversamente da un discorso che incita all’odio, privo di una causa sia reale che apparente.
A questo proposito, viene da pensare che quando si parla con qualcuno non sempre si può scegliere quale ruolo ricoprire all’interno della conversazione poiché, ad esempio, può capitare di comunicare con i propri amici o parenti, e quindi essere nell’ambito di un rapporto di cooperazione; oppure, può capitare di parlare con quel Professore che tanto si adora o con quello che invece si detesta, trovandosi in un rapporto di subordinazione; ma la cosa che possiamo scegliere e, oserei dire sempre, è il modo con cui si comunica.
Soprattutto al giorno d’oggi, in cui la nostra vita è pervasa dai mezzi di comunicazione che potrebbero, da un lato, distorcere il messaggio che intendiamo divulgare, o dall’altro favorire la nascita del fenomeno dei leoni da tastiera, dobbiamo essere ancora più accorti nella selezione delle parole e nel tipo di registro da utilizzare. A tale riguardo merita una menzione particolare il “Manifesto della comunicazione non ostile”, documento ideato, stilato e pubblicato dall’Associazione Parole Ostili, cui hanno aderito innumerevoli associazioni pubbliche e private, che vanno dal Comune di Firenze all’Università di Trieste passando per i maggiori gestori telefonici.
Tale dichiarazione si sostanzia in una carta che elenca dieci princìpi utili a migliorare il comportamento di chi popola la rete e consiste in un impegno di responsabilità condivisa, teso a favorire comportamenti rispettosi e civili affinché la rete sia un luogo accogliente e sicuro per tutti.

Se si è giunti a questo strabiliante risultato, purtroppo al momento non si registrano gli stessi progressi per il discorso basato sul banale odio, il cd. hate speech
Ancora non esiste una definizione condivisa da tutti, ma fondamentalmente si traduce in un discorso d’incitamento all’odio, dove un parlante autorevole costruisce l’identificazione di gruppo escludendo un target ben specifico.
In Italia è stata istituita nel maggio 2016 una Commissione sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio (successivamente intitolata a Jo Cox, deputata presso la Camera dei Comuni del Regno Unito, uccisa il 16 giugno 2016), la cui relazione finale, che esamina le dimensioni, le cause e gli effetti del discorso di odio, dimostra “l’esistenza di una piramide dell’odio alla cui base si pongono stereotipi, rappresentazioni false o fuorvianti, insulti, linguaggio ostile ‘normalizzato’ o banalizzato e, ai livelli superiori, le discriminazioni e quindi il linguaggio e i crimini di odio”.
Riflettendo su tutto questo c’è una cosa che trovo in tutto e per tutto applicabile ancora oggi, e che diceva sempre mio nonno quando ero piccola: “Se non si ha niente di carino da dire è meglio tacere”.
Non so se vi suona familiare, ma a me ricorda quei precetti fondamentali per vivere in un mondo civile, quegli insegnamenti che se fossero una melodia sarebbero degli evergreen, quei moniti che se fossero sempre rispettati porterebbero ad un mondo migliore e che, se li avessero raccontati al Grinch, durante l’infanzia, lo avrebbero reso un adulto più felice.