
Che l’Italia non sia mai stato un paese in grado di prendersi “cura” nella maniera opportuna delle necessità dei propri abitanti è ormai noto da anni. Sarà dagli anni novanta che, ormai, il welfare della nostra nazione è una condizione di skyrocketing totale verso il basso.
Sanità, impiego, infrastrutture, istruzione. In un’Europa che, dopo la crisi del 2008, ha visto in tutte le sue regioni toccare punti bassissimi, l’Italia ha sempre avuto la “lodevole” capacità di attestarsi sempre tra le “peggiori” della classe.
Non starò però qui oggi a ciarlare riguardo “l’Italia in generale” perché, e lo dico apertamente, dell’Italia in generale mi frega ben poco. Per quale motivo? Perché all’”Italia in generale” non è mai fregato un cazzo di me. Non di me Lorenzo Natali, ma di me “giovane”. Inutile nascondere la polvere sotto al tappeto e fare orecchie da mercante. Bisogna aprire gli occhi e con lucidità rendersi conto del fatto che noi giovani, in questo paese dominato da “vecchi”, siamo sempre stati l’ultima ruota del carro.
Nel periodo pandemico, poi, ci hanno letteralmente “dimenticato”
Già, noi nell’era del Covid non esistiamo. O meglio, diveniamo un’entità “influente” solo quando si tratta di fare paternalistici richiami all’educazione, all’attenzione, quando si tratta di mettere in luce “i giovani della movida che diffondono il Covid” o “i giovani che non rispettano le norme” quando, non me ne voglia nessuno, se vado a farmi una passeggiata nel mio paese i primi che vedo non rispettarle sono proprio quegli anziani che, seduti al bar con mascherine mezze abbassate, si smucinano bene sul bancone, sui tavolini, e poi si toccano la faccia, abbassandosi e alzandosi la mascherina ben piazzata sotto al naso come, del resto, fanno anche molti adulti.
Noi giovani nel momento del Covid siamo esistiti solo per evidenziare la nostra “pericolosa indiscipline” e nient’altro. CI hanno detto di stare a casa, ci hanno detto di pensare ai nostri cari, di essere cauti e fare attenzione, di non essere “egoisti”. Ma alla fine della fiera nessuno si è minimamente posto la domanda, la sola, che sarebbe valsa qualcosa: come stanno i giovani durante il Covid? E, soprattutto, cosa faranno dopo?
E se di salute mentale tratteremo nel prossimo appuntamento del “Pop Corn Club” di Univercity (collegatevi Venerdì alle 21:30 sul nostro canale Discord) con la discussione sul film Emotivi Aonimi, in caso non si sia capito, in questo articolo parleremo proprio di quella dei giovani.

Non credo di esagerare se, parlando per tutti (o quasi), reputi opportuno rispondere “stiamo male, malissimo”
Senza metterci qua a fare un lunghissimo elenco di quelli che sono i motivi per cui noi giovani usciamo come parte maggiormente lesa dal periodo pandemico, ci basti pensare alla condizione in cui molti di noi si ritroveranno ad accedere al mondo del lavoro, dopo mesi e mesi di isolamento portato avanti tra frustrazioni, incertezze e paure per un futuro ancora più nebuloso.
Il Covid è esistito solo per gli adulti, nelle menti dei media e dei governanti. A noi giovani bastava “rimanere a casa” e sarebbe andato tutto bene. Certo, come no, perché di fatto è facile campare senza avere la minima certezza quando ci si ritrova nel periodo più delicato della propria vita: quello delle decisioni.
Come molti di noi sapranno non è che il teatrino decisionale si esaurisce una volta completata l’università. Non per tutti almeno. Molti di noi, anzi, lasciati definitivamente i banchi ancora non hanno quella chiara visione della strada che potrebbero intraprendere perché, plot twist, il mercato del lavoro è quello che è: inesistente.
Così, reclusi da mesi tra quattro mura, chi più chi meno condizionato da dimensioni familiari più o meno complesse che possono edulcorare o anche aggravare la cosa, la domanda che sorge spontanea è solo una: cosa dobbiamo fare?
Cosa dobbiamo fare, noi, della nostra vita? Cosa dobbiamo fare per garantirci un futuro, cosa dobbiamo fare per noi stessi, per renderci felici?
Qual è la scelta giusta? Qual è il mondo che ci troveremo di fronte una volta usciti da questo buio cunicolo? In pochi di noi lo sanno e proprio questo non sapere, questa mancanza di sicurezze ormai effige della società liquida del ventunesimo secolo, è alla base di quelli stati di tensione, ansia e angoscia che aggrovigliano le menti di ragazzi come me da ormai anni.
Uno stato, ovviamente, peggiorato da quella mancanza di socialità che in qualche modo poteva far respirare le nostre tempie sotto pressione, rimanendo così da soli con le nostre domande, i nostri dubbi, le nostre paure, senza avere possibilità di formulare alcuna risposta. Domande pendenti che come una corda si stringono attorno al collo formando bubboni impossibili da deglutire, palline da golf che soffocano, strozzano, stringono.
E allora mentre pensiamo agli esami che dobbiamo dare (e alla svelta, sennò il grande carro della società ci lascia dietro etichettandoci per vecchi) la gola si stringe. Mentre cerchiamo di capire “e dopo, cosa farò? Cosa potrà darmi un’aspettativa di vita” l’aria viene a mancare, la lingua si ingrossa, la saliva riempie la bocca come se stessimo masticando un pezzo di bistecca senza, poi, andare già. L’aria nei polmoni diviene così rarefatta e scarsa che quasi vorremmo un respiratore mentre la testa gira. Domande su domande si affollano nella mente strizzandola senza soluzione di continuità come fosse una spugna mentre una mano stretta attorno al collo ci solleva continuando a porci domande… domande per cui non abbiamo una risposta.

Questi, sono i giovani. Non quelli dipinti dai media come i “cattivi che violano le regole” della movida
Siamo noi quelli che stanno subendo il “tradimento” dei nostri cari, dei nostri vicini, di chi ci ha sempre guardato con fare superiore e paternalista, del nostro governo.
Quello stesso governo che non è stato in grado di redigere un piano accurato e sensato per il rientro a scuola così da accentuare la seconda ondata per mano di un’incompetente come la Azzolina. Quello stesso governo che prima dà il bonus vacanze per promuovere il turismo e poi si lamenta dei giovani nelle discoteche. Quello stesso Speranza, ministro della salute, che ogni tanto se ne esce con i suoi appelli fastidiosamente paternalistici sullo “stare attenti” senza mai, e dico mai, aver rivolto un minimo pensiero alla tutela di una grossa fetta delle persone di cui col suo mandato dovrebbe prendersi cura. Forse lo stesso speranza non sa che nell’ambito della “salute” rientra anche quella mentale e la cosa, tristemente, non mi stupisce.
Assistenza psicologica, supporto ma anche un piano per il lavoro futuro, per promuovere l’integrazione dei giovani nel mondo del lavoro, per aiutarli a trovare una via e delle certezze in una condizione così straordinaria. Non solo probabilmente saremo gli ultimi a ricevere il vaccino, ma saremo anche gli UNICI a non aver beneficiato di alcuna riforma, di alcun aiuto o supporto. Ci è stato chiesto di dare una mano, di stare attenti, di venire incontro senza però avere, dall’altro lato, una corrispondenza. Un rapporto univoco in cui noi dobbiamo dare senza ricevere dopo anni, e dico anni, in cui ci è solo stato “tolto” mentre eravamo ancora troppo piccoli per poterci difendere.
Non solo ci hanno privato, negli anni, delle armi per poter competere mentre ci imponevano di competere sempre di più, si sono anche dimenticati di noi, così da privarci di quei pochi asset che con sudore ed un pizzico di fortuna, magari, eravamo riusciti a crearci nel tempo.
Si sono dimenticati di noi, ci hanno usato come feticci da incolpare e poi ci hanno lasciato ai margini dell’operazione sociale
La nostra salute mentale? Un dettaglio. Il nostro futuro? Un problema che non vi spetta. Già, non vi spetta. Perché tanto, alla fine, a mettere una pezza sui grossi buchi che state lasciando in questo mondo dovremo essere noi.
Così con il tormento dei vergognosi media nazionali nascono le ipocondrie, le sindromi della capanna. Giovani che hanno paura di uscire di casa, giovani che vanno in angoscia dopo un colpo di tosse. Giovani che, lentamente, stanno mettendo da parte il mondo esterno per paura di esso dopo che, quest’ultimo, li ha messi da parte ed esacerbati con la sua noncuranza. Il tutto, ovviamente, a quelle angosce per il divenire già forti e ruggenti ancor prima dell’arrivo della pandemia.
Rabbia, angoscia, disgusto, ansia, sono le emozioni che provo redigendo questo articolo, mentre assediato da mille domande prive di risposta cerco di capire qual è la fine che farò tra un pugno di mesi. Mentre sto buono buono tra le mura di casa, come mi hanno ordinato, ragionando su un futuro che ora men che mai stringo tra le mie mani, perché io come tanti altri faccio parte dei “dimenticati” di una pandemia che, a quanto pare, ha visto il nostro governo fare “figli e figliastri”.
Mi chiedo, allora, quando vi ricorderete di noi? Quando vi accorgerete del fatto che, anche noi, abbiamo bisogno di una mano? Quando vedrete le nostre ansie, le nostre preoccupazioni, e tenderete una mano verso il nostro futuro? La risposta, forse, è mai.