Survivors: il dramma taciuto delle sopravvissute

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Sempre più spesso si parla di survivors perché piano piano si sta rompendo il silenzio che gira intorno allo stupro, sempre più spesso noi donne stiamo riuscendo a rompere le catene del patriarcato per alzare la voce e farci sentire.

Ma chi sono queste survivors? Sono tutte quelle donne che hanno subìto uno stupro e che sono sopravvissute a questo evento tragico. Ma perché “survivors”? Perché da uno stupro quasi mai se ne esce indenni, è un qualcosa che ti cambia, che ti tocca nel profondo, che ti spezza in due e ti lascia nella solitudine più totale, perché è così, dopo uno stupro sei sola.

“Survivors” perché lo stupro è qualcosa che ti rimane e che non puoi cancellare, è indelebile come una cicatrice, o meglio, come un marchio

Essere una sopravvissuta vuol dire far parte di una categoria marginalizzata e poco credibile. Già, poco credibile perché nemmeno le persone a te più vicine ti crederanno del tutto, nemmeno i tuoi amici saranno immuni dallo scetticismo generale che ruota attorno a queste confessioni e questo perché finché non mostri i segni, il sangue, i lividi, sei una survivor a metà. Questo perché quasi tutti vogliono ascoltare quella narrazione tossica che mostra la parte macabra, e solo così, riescono a validare il tuo dolore. Ciò è dato dal fatto che c’è una sorta di feticismo per il lugubre, per il sangue, e questo è uno dei motivi per i quali le malattie psicologiche sono del tutto ignorate o non considerate come vere malattie.

La survivor non è solo una persona sopravvissuta allo stupro, è una guerriera che ogni giorno deve indossare una corazza e curarsi le ferite che sferza una società patriarcale che tende a colpevolizzare la vittima o a ritenerla parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto e spesso la induce ad autocolpevolizzarsi, infatti non è raro che la survivor torni a casa e pensi “se non fossi stata vestita così”, “se non mi fossi trovata lì in quel momento”, interamente ricoperta dai suoi se e dai suoi ma che finiranno per divorarla, questa è una survivor, una persona indotta a divorarsi l’anima.

Viviamo nella cultura dello stupro, è difficile pensare il contrario

A parlare sono i dati Istat (dati dell’indagine Ipsos del 2019) dove persiste il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale, infatti il 39,3% pensa “se davvero lo vuole, può evitare lo stupro”, il 23,9% pensa “se l’è cercata, guarda com’era vestita”, il 15,1% pensa “se era ubriaca o drogata, è anche colpa della donna se è stata stuprata”, il 10,3% pensa “spesso le accuse di violenza sessuale sono false”, il 6,2% “le donne serie non vengono stuprate”. Mentre il 32% della popolazione giustifica lo stupro in alcune circostanze: il 15% se la donna ha fatto uso di alcolici, il 16% se ha avuto atteggiamenti intimi prima della violenza sessuale, il 9% se non ha detto esplicitamente no. La cultura dello stupro è quella che promuove e normalizza la violenza di genere: una donna è paragonata a un oggetto e per questo, è fruibile a tutti.

E ancora ci chiediamo perché non ci sono denunce o perché ce ne sono pochissime

La risposta è semplice: perché le istituzioni cercano di dissuaderti dal fare una denuncia, perché il carabiniere o il poliziotto di turno ti chiederà sempre “Come eri vestita al momento dell’accaduto?” o “Hai provato piacere nel farlo?”, come se i miei vestiti o un mio orgasmo legittimassero una violenza di tale portata; la cultura dello stupro è quella che verte a colpevolizzare la vittima per una gonna troppo corta o per un orgasmo, ma quasi mai l’uomo, che agisce non perché ho dei pantaloncini troppo corti, non perché ho uno scollo troppo profondo, ma perché può farlo, perché gli è permesso, perché non sarà lui a ritrovarsi con le spalle al muro. Il sistema non tutela le survivors; vedi la narrazione sbagliata riportata da uno dei più importanti quotidiani italiani che ruota attorno all’ultimo caso di stupro: “Un vulcano di idee che, al momento, è stato spento” descrivendo i successi di studio e professionali dell’uomo accusato di aver drogato e stuprato una ragazza che per venti ore è rimasta legata a letto fino a quando non è riuscita a scappare mezza nuda e col sangue tra le gambe.

Si dà importanza a dettagli del tutto irrilevanti alla narrazione per giustificare il fatto o per far entrare il pubblico in empatia con questo uomo e che quasi mai riesce ad empatizzare con la vittima. Chi ci insegna a denunciare se i giornali, le tv, i media, ci raccontano narrazioni sbagliate? Chi ci tutela dalla gogna mediatica dopo aver ammesso pubblicamente di aver subìto uno stupro? Siamo noi donne che invogliamo le nostre sorelle a denunciare, nessun altro lo farà. La survivor, quindi, non è solo una sopravvissuta, è – come ho detto prima – una guerriera silenziosa che combatte una guerra più grande di lei.

Univercity ricorda che la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità promuove il servizio pubblico del 1522, un numero gratuito e attivo 24 h su 24 che accoglie con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking.

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