
Tutti avremmo voluto lavorare per Miranda Priestly, diciamoci la verità. Non ho mai indossato un tacco a spillo in vita mia, eppure resto incantata quando scorrono le inquadrature con gli abiti indossati da Anne Hathaway dopo la sua “conversione” ad assistente “tacchettina” di Runway. Che il motivo sia il mio debole per la Hathaway è una possibilità, ma non è la sola! Il Diavolo veste Prada fa la sua uscita nelle sale cinematografiche nell’ormai lontano 2006.
Un film leggero, una commedia glamour, una storia accattivante che convince già sui titoli di testa, quando parte l’incalzante chitarra-basso, un po’ country un po’ folk, di KT Tunstall con la sua Suddenly I see.
Siamo a New York, catapultati tra taxi gialli, traffico, marciapiedi pieni e grattacieli di vetro e acciaio che racchiudono i sogni di un numero infinito di giovani freschi di laurea, con il desiderio di lavorare per una delle grandi società che abitano quei piani, attraversati da ascensori che arrivano fino al cielo. A quanto pare questo Diavolo ha conquistato il Paradiso!

IL LIBRO ERA PEGGIO DEL FILM
Il film è tratto dal romanzo omonimo del 2003, scritto da Lauren Weisberger, ex-assistente della Miranda Priestly reale, la famosissima direttrice di Vogue America, Anna Wintour. Nel libro la direttrice di Runway è un personaggio crudele, terrificante, decisamente negativo. Poco a che vedere con il personaggio interpretato da Meryl Streep, che lo rende autoritario ma glamour, classy e fortemente attraente. Con la sua dizione impeccabile, il portamento regale fino anche a mostrarne l’umanità tradita, che al culmine di tutto ci fa empatizzare con lei, più che con la povera Andrea Sachs. Ma è poi davvero Andy la vittima del film? Per un terzo della storia vediamo la nostra giovane aspirante giornalista anticonformista incassare le prese in giro e il sarcasmo della sua diretta superiore, Emily Charlton, e sopportare cappotti buttati a caso sulla sua scrivania e le corse perché il caffè arrivi sempre nel momento giusto. Tutto questo finché la situazione non si ribalta.
IL DIAVOLO VESTE IL MOBBING
Due anni dopo l’uscita del Diavolo veste Prada, in Italia si parlava ancora poco di mobbing. Il mobbing è un concetto di importazione, sembra uno di quei classici neologismi arrivati dagli Stati Uniti, e invece nasce negli anni Novanta in nord Europa, nella penisola scandinava. A dirla tutta, dobbiamo andare ancora più indietro, fino agli anni Sessanta, per trovare per la prima volta il termine mobbing in uno studio scientifico e no, non si riferisce agli esseri umani, ma è un termine coniato per definire il fenomeno per il quale animali della stessa specie aggrediscono un individuo del gruppo con comportamenti mirati allo scopo di escluderlo (Lorenz, 1966).
Si definiscono con mobbing tutte quelle situazioni lavorative nelle quali una persona è soggetta a comportamenti aggressivi o discriminatori da parte di colleghi, superiori o sottoposti, ripetutamente e senza la capacità di difendersi in alcun modo (Einarsen, 2000). Non si tratta né di stress e pressione da deadline, né di questioni personali che vengono sfogate genericamente in ufficio, ma di azioni mirate ad escludere un individuo o a renderne difficoltosa la vita lavorativa, fino a portare problemi di carattere psicologico o la perdita del posto di lavoro.
Nel mondo anglosassone il termine mobbing è sostituito da “bullying at work”, potremmo quindi dire che è la versione adulta del bullismo scolastico. E se questa è la definizione che la letteratura accademica ci riporta, in questo film la vittima del Diavolo non sembra essere Andy, ma la povera Emily, che già dall’inizio del film viene presentata come una delle tante Emily che si siano mai sedute alla scrivania dell’assistente di Miranda Priestly. Un numero, nulla più.

“E’ IL LAVORO, BELLEZZA!”
“Un milione di ragazze ucciderebbe per quel posto”. “Tutti vogliono questa vita. Tutti vorrebbero essere noi”. Basta davvero metter sotto un pezzo meraviglioso come City of blinding lights degli U2, per dimenticarci che solo pochi minuti prima abbiamo visto una Emily Blunt tumefatta in ospedale, che viene pian piano lasciata indietro, fino ad essere dimenticata, esclusa e poi tenuta fuori dall’evento di moda più importante al mondo?
Pensavamo tutti fosse lei l’antagonista in questo racconto, eppure mentre la guardiamo affogare il suo senso di frustrazione nel budino dell’ospedale, non ci sembra che le cose stiano andando proprio nel modo giusto. Parigi era il suo sogno, lei quel lavoro a Runway lo desiderava davvero, ma la competizione con Andy la mette sempre più sotto pressione, inizia a perdere colpi e nel frattempo Nigel, il braccio destro di Miranda, aiuta Andy a farsi sempre più strada nelle grazie del capo. Chi è nel giusto e chi sta sbagliando? Chi è la vittima e chi il bullo? Oppure, come dice il buon Nigel, questo “è il lavoro, bellezza!”?
Non dimenticate l’appuntamento di domani sera con un nuovo “episodio” del “Pop Corn Club” di Univercity Viterbo! Tema della serata sarà proprio Il Diavolo Veste Prada! Volete unirvi a noi? Entrate a far parte del server discord Univercity Viterbo. Il link è sempre disponibile nel linktree in bio del nostro account Instagram (Link).
Vi aspettiamo!