In Italia: quando per essere un’eccellenza devi avere quattro lauree

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Giulio Deangeli, lo studente dei record che prende quattro lauree insieme”,

Giulio Deangeli, enfant prodige e plurilaureato a Villa Bertelli”,

“Giulio Deangeli, il neuroscienziato 25enne con 5 borse di studio”.   

Questi sono solo alcuni esempi di quanto hanno titolato i principali giornali nazionali negli ultimi giorni riguardo lo “strano caso di Giulio Deangeli, brillante studente 25enne e plurilaureato con il desiderio, nobile, nobilissimo, di lottare contro le malattie neurodegenerative.

Sono le 8 e 01, fa letteralmente un freddo cane ed il congelamento dovuto alla mattina ottobrina in combo con la mancanza di un piumone non basta a far raffreddare gli ingranaggi di un cervello, il mio, che inizia letteralmente a fumare dalle orecchie per la rabbia. Perché mai, vi chiederete voi?

Semplice: a quanto pare, in Italia, per essere considerato un’eccellenza devi avere minimo tre o quattro lauree

Al contrario, sei solo una scarpa vecchia. È ciò che emerge dai titoli sensazionalistici diffusi su Giulio Deangeli in un paese che, con coraggio di un bandito e faccia tosta tanto al chilo, non ha fatto altro negli ultimi anni se non ignorare il mondo della ricerca e dei giovani lavoratori. A quanto pare, in Italia, per essere considerato un profilo professionale degno di nota, degno della fierezza della “bandiera tricolore” (che da oggi in poi userò come tappetino da mettere sull’uscio di casa), devi aver collezionato lauree come fossero figurine di calciatori. Si punta all’accumulo, alla gara a chi fa, anzi, strafà di più. Si punta alla quantità. L’ennesima corsa “per polli” dove la qualità di un singolo e la sua eccellenza viene commisurata contando pezzi di carta e numeri mentre, nell’ipocrita routine di tutti i giorni, le competenze della nostra generazione vengono ignorate e cestinate come uova marce.

Parliamoci chiaro e diciamolo subito, nessuno sta qui a delegittimare le qualità di Giulio Deangeli, studente sicuramente brillante, pieno di competenze, con una voglia di fare che dovrebbe essere esempio ed emblema anche per molti adulti, con un fine nobile coadiuvato da capacità innumerevoli e, si spera, destinato a divenire luminare italiano nel campo delle neuroscienze, salvando così molte vite. Non è il buon Giulio, mio coetaneo, a farmi girare i famigerati “marron glace”. Non è assolutamente lui il problema. Anzi, lui è solo il “mezzo” che ha messo in mostra l’ipocrisia della nostra nazione, quella contenuta nell’atteggiamento del “mediano italiano” (non quello calcistico alla Gattuso) e, soprattutto, dei media che come sempre mi fanno venire voglia di rigurgitare anche una colazione spartana come quella a base di Tè e fette biscottate.

La verità è che su tutta questa storia non avrei assolutamente nulla da dire se fosse stata la nostra cara nazione almeno solo vagamente “attenta” nei confronti dei mondi dello studio, della ricerca, dei giovani e così via dicendo. Ma visto e considerato che, come dice lo chef Gino D’acampo, “if my grandmother had wheels she would have been a bike” inglesizzando nelle TV anglosassoni un detto italiano a dir poco emblematico, lanciamo dalla finestra i se e consideriamo un attimo i dati di fatto.

Giulio Deangeli laurea

Come riporta il Sole 24 Ore, nell’estate del 2020 il tasso di disoccupazione dei giovani in possesso di un titolo di primo livello era del 35%

Sono il 30%, invece, i laureati con titolo di secondo livello ancora “a spasso” per l’Italia ad un anno dal conseguimento. In un paese dove negli ultimi 10 anni il livello di scolarizzazione dei giovani è aumentato vertiginosamente vedere numeri recitanti una disoccupazione del 30% (era il 28,6 nell’estate del 2019, non accampatemi quindi la scusa “eh ma ce n’è coviddi”) fa letteralmente gelare il sangue nelle vene.

Il tutto a fronte di un 29,8% di disoccupazione giovanile totale (laureati/non laureati ecc) riportata dai termometri di dicembre 2019 attestando così l’Italia come la terza peggior forza in Europa in quanto a impiego delle “nuove leve”. Tutto ciò in un paese che a Gennaio del 2020, secondo Eurostat, vede un esiguo 23% dei lavoratori totali possedenti di un titolo universitario.

La parata del ridicolo italiano va a concludersi con festoni, colori sgargianti e capriole circensi quando andiamo a controllare la percentuale di Pil (prodotto interno lordo) investita, dall’Italia, nel mondo della ricerca: 0.5%.

Al netto di questi numeri da “catastrofe nucleare” non può che venirmi una di quelle risate isteriche da villain di anime e serie tv nel leggere i “titoloni” dei “giornalai” posti li ad incensare Giulio Deangeli come eccellenza italica con le sue trecentocinquantaduemila lauree.

Per adornare, un esempio di giornalismo fazioso, pressapochista e di basso livello. L’ennesima pugnalata nel cuore dei giovani di cui viene dipinta un’immagine scansafatiche e demonizzata.

Mi viene da ridere perché la verità è che questo paese le sue eccellenze non le prende mai in considerazione se non per lanciare dalla finestra l’ennesima “palla da record” da iscrivere negli albi delle olimpiadi del “guardate come siamo bravi”

Non può che venirmi da ridere perché dimostra, ancora una volta, quanto noi giovani non siamo mai abbastanza per una nazione che ci considera solo quando diventiamo potenziali “fenomeni da baraccone”.

Perché, diciamocelo chiaro, non serve avere tre lauree per essere delle eccellenze. Di ottimi profili specializzati nei più variegati settori ce ne saranno a frotte. Altrettanti saranno ancora chini sulle scrivanie a studiare in attesa di diventare “gli adulti” del futuro. Eccellenze artistiche, eccellenze scientifiche, ingegneri, economisti, musicisti, medici e chi più ne ha più ne metta. Chiunque con padronanza della sua materia e voglia di fare può e DEVE essere considerato un’eccellenza ed essere, poi, trattato da tale.

E invece mi vien da chiedere chissà quante di queste eccellenze, ree di non aver accumulato titoli in modo seriale, si ritrovino a spasso o magari occupati in ambiti a loro estranei, magari facendo lavori secondari con paghe da fame, contratti di apprendistato con ore di lavoro da dipendenza o paghe affamanti date in nero dall’ennesimo boomer che “eh, ma io devo sfamare una famiglia”. E certo, perché noi young ci nutriamo di meme e trend su Tiktok mentre tu ti paghi il mutuo della seconda casa sulla riviera dei cedri giusto?

Chissà quanti ottimi studenti sono alle prese con dottorandi nelle università con la sparuta speranza di essere assunti, forse tra vent’anni, a tempo indeterminato mentre sgomitano per un misero contratto di ricerca driblando raccomandazioni e tagli del personale perché, giustamente, a fine anno il bilancio è quello che è.

Giulio Deangeli laurea

Chissà quanti di noi non hanno potuto perseguire i loro sogni perché reputati di serie B da un mercato del lavoro che non solo non ci valorizza e ci inquadra come carne da macello, ma soprattutto ci dice su cosa dobbiamo necessariamente gettarci per sperare nella pagnotta, mentre altre mansioni vengono ritenute di serie B come, ad esempio, l’intero mercato del lavoro artistico/culturale.

Così, in un’epoca dove la FOMO dovuta ai social network (l’ansia di non sentirsi mai abbastanza) va direttamente a braccetto con un mondo sempre più distratto ed incapace di ragionare sul futuro, noi giovani tutti veniamo messi a confronto con le tre o quattro lauree di Giulio Deangeli, eccellenza italiana, continuando a non sentirci mai giusti, con l’idea di non fare mai quanto serve, con l’idea di valere molto meno di quanto avremmo voluto e di quanto avremmo sperato. Sempre “under pressure” (citando Queen e David Bowie) nel frenetico tentativo di calibrare le nostre vite sulla strada del “successo”.

Giulio Deangeli laurea

Come può non salire la rabbia, al netto di questa grande presa per il cuBo, nel vedere l’incensatura “dell’eccellenza italiana”

mentre tante altre eccellenze ugualmente nobili, capaci e di cui andare fieri, restano a spasso, troppo giovani per essere considerati professionisti, troppo vecchi per non sentirsi in ritardo sulla tabella di marcia. E allora i titoli non bastano mai, gli studi non bastano mai, i soldi per andare via di casa non bastano mai, due lavori non bastano mai, le borse di studio non bastano mai, le lauree non bastano mai.

Noi non bastiamo mai

Non parliamo, allora, di eccellenza italiana di Giulio Deangeli perché eccellenza non può essere ritenuto solo chi, con un estro geniale forse più della norma, è riuscito a fare opere faraoniche. Le eccellenze sono anche al di sotto delle piramidi, che rappresentano forse “l’universale”. Non incensiamo con fierezza l’accumulazione di titoli di studio se poi di quegli stessi medesimi voi popolo italiano ve ne sbattete le sacre sfere da ormai anni. Non cominciamo con la retorica del “eh quanto è bravo questo ragazzo” se molti altri altrettanto bravi li avete demotivati e mandati a vendere hamburger.

E, soprattutto, prima di parlare di noi giovani sciacquatevi per bene la bocca perché, diciamocelo chiaramente, le nostre “eccellenze”, come anche quella del brillante Giulio, non ve le meritate. I nostri Heroes per tornare a David Bowie, non ve li meritate e questo già solo per la condizione in cui avete lasciato questo paese oramai morente.

Leggi anche: Svegliarsi la mattina e…essere l’impostore (o il bianconiglio) (Link)

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