Jojo Rabbit ed il mito della giovinezza

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O di come la gioventù è l’arma più pericolosa che tu possa decidere di usare

Non sei un nazista, Jojo. Sei un bambino di dieci anni a cui piace indossare una buffa uniforme e che vuole fare parte di un gruppo.

(dal film Jojo Rabbit, 2019 di Taika Waititi)

Cosa sa un bambino di dieci anni del nazionalismo? Nulla. E della supremazia della razza ariana? Niente

Ma è proprio per questo che ad un giovane si può far credere qualsiasi cosa, perché del mondo non sa un bel niente! Il mito della giovinezza, nato nella seconda metà del Settecento con Goethe e il movimento dello Sturm und Drang, esplode in Europa già con la Rivoluzione Francese. L’esaltazione del giovane come protagonista della Storia, colui che può rigenerare l’umanità. Le tradizioni, ormai vuote di significato, e il passato a cui è addossata ogni colpa della situazione presente, vengono ripudiati.

Non è raro, anche in tempi più che recenti, che qualcuno chiami alle armi i giovani, per rovesciare il sistema, per cancellare lo status quo, per rinnovare il Paese

Jojo

I giovani hanno fame di vita e di affermazione personale e qualcuno è lì pronto a dargli un’uniforme, qualche slogan e un nemico da combattere

Ma facciamo un salto alla fine dell’Ottocento. L’Europa è cambiata, all’alba della Prima guerra mondiale il concetto di Nazione ha ormai messo radici nel pensiero popolare. Dietro bandiere svolazzanti, schiere di giovani uomini vengono spediti a combattere una guerra nuova, fatta di armi mai viste prima, e loro sono corpi da buttare sui fili spinati per far da muro contro le mitragliatrici. In tutta Europa ne torneranno a casa pochissimi. È la guerra del milite ignoto, la guerra che distrugge definitivamente gli ideali illuministi che portarono all’affermazione dei diritti dell’individuo.

Ma tu, giovane europeo, dopo il pietoso esito della Prima guerra mondiale, saresti partito di nuovo per difendere e far grande la Patria e la bandiera?

Il Führer e il Duce sanno benissimo che nessun ragazzo sano di mente prenderebbe più in mano le armi senza un buon motivo, ma conoscono abbastanza bene l’impeto adolescenziale, da far leva proprio su quel bisogno di appartenenza e quella fame di affermazione per convincere i giovani al punto che avrebbero fatto di tutto pur di compiacere il loro idolo. E non è proprio l’adolescenza il periodo della vita fatto di poster sul muro di cantanti, attori, atleti e, perché no, Adolf Hitler?

Per far sì che la ricetta fosse accattivante anche per le mamme ed i papà, raccolgono l’eredità di alcuni studi pedagogici che ad inizio Novecento portarono alla nascita di realtà giovanili come le associazioni sportive o lo scautismo britannico di Lord Baden Powell. Questi studi affermano che per crescere fanciulli e fanciulle che siano sani, forti e di successo, è fondamentale che l’educazione non si riduca all’istruzione scolastica, ma diventi un’educazione integrale, che tenga conto di tutti gli elementi della personalità, intellettuale, morale e fisica.

Quindi tutti a giocare all’aria aperta, fare gare sportive di scalata o di scherma, campeggi estivi, passeggiate ed esercitazioni pratiche di ogni tipo

Non era nemmeno più questione di genere, anche per le giovani ragazze erano previsti programmi che le rendessero donne pronte a servire il Paese… Nei modi e nei tempi opportuni per una futura moglie e madre.

Rimaneva fondamentale per tutti, data la precarietà degli equilibri europei del primo dopo guerra, che i giovani fossero però anche cittadini capaci di prendere le armi e difendere il proprio paese, ma non era necessario che questo fosse un obiettivo consapevole, bastava solo pompare un po’ il mito del soldato forte, coraggioso e vittorioso, che subito tutti i giovinetti erano eccitati dall’ideale di questi nuovi cavalieri senza macchia e senza paura a cui voler somigliare, fosse anche solo per piacere alle ragazze.

Quel che probabilmente i nostri amici Adolfo e Benito hanno ignorato, e molti altri dopo di loro, è che se un giovane scosta i drappi che scendono sui palchi da cui risuonano i discorsi, sbirciando dietro il velo di Maya, e scopre la verità, la sua fiducia non la riconquisterai mai.

Per il giovane Jojo del film di Waititi quel momento coincide con l’incontro con Elsa

È lei a scostare il velo, a mostrargli come stanno davvero le cose. Gli ebrei non sono mostri dal corpo informe, la mamma non ti potrà proteggere per sempre, la guerra non è un gioco da campeggio estivo. È lì che Jojo smette di indossare la divisa nazista, tornando lentamente ai suoi abiti civili. Non è il suo ideale a morire, ma la sua idealizzazione del Führer, sotto forma di un Hitler immaginario interpretato nel film dallo stesso regista. L’ideale di Jojo, invece, sembra nascere proprio alla fine di questo ritorno alla vera forma delle cose.

Proprio come l’uomo che esce dalla caverna di Platone, che soffre la luce e ne è accecato, anche Jojo distrugge le certezze dell’infanzia ed è come uccidere una forma di sé stesso, come cambiare pelle, è doloroso, ma necessario. Non c’è spoiler che si possa fare, tutti sappiamo che fine fanno i cattivi di questa storia. Scegliere di raccontare il potere che un’ideologia può avere su un giovane è forse il tema più importante che si possa ritrovare nel film di Waititi. Ancora più importante, forse, è aver saputo mostrare il potere che un giovane può avere sulle ideologie che si contendono la sua attenzione.

Non dimenticate l’appuntamento di Venerdì per il primo incontro ufficiale del “Pop Corn Club” di Univercity Viterbo! Tema della serata sarà proprio Jojo Rabbit. Volete unirvi a noi? Entrate a far parte del server discord Univercity Viterbo. Il link è sempre disponibile nel linktree in bio del nostro account Instagram (Link).
Vi aspettiamo!

Leggi anche: Svegliarsi la mattina e…essere l’impostore (o il bianconiglio) (Link)

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