
Tra le tante conseguenze derivanti dalla pandemia CoVID19, una delle più gravi riguarda il danno che questo virus sta arrecando all’economia italiana e, più in generale, a tutti i paesi industrializzati del globo.
Una delle crescenti preoccupazioni che si sta diffondendo nel nostro paese è il ritorno ad un periodo di recessione economica simile al post-crisi finanziaria del 2008.
Il tracollo delle principali borse mondiali – Milano, Londra, New York – è stato senza dubbio uno dei più gravi mai registrati e, ad oggi, si è assistito alla peggiore seduta di sempre per il FTSE Mib (l’indice azionario della Borsa italiana) e il peggior trimestre per la borsa milanese da più di 20 anni.
Dal punto di vista finanziario del prezzo delle azioni, il panico generato dalla diffusione del virus fuori dal confine asiatico ha generato il più classico degli effetti “gregge”. Ha portato masse di investitori a dismettere le quote delle aziende di settori colpiti, anche potenzialmente, dal virus e reinvestire in altri settori per cautelarsi da ulteriori crolli. Ciò ha però causato un crollo immediato del valore di mercato percepito e valutato, data una domanda praticamente a zero.
Nessuno può prevedere con certezza quale sarà l’andamento dei mercati azionari nelle prossime settimane. Tuttavia, il panico lascia presagire rendimenti sistematicamente più elevati dopo 6, 12 e 18 mesi in recupero del crollo andando contro ai pensieri dei rialzisti di breve termine.
Alla base del danno economico c’è un effetto a catena bilaterale provocato dalla giusta applicazione delle procedure per limitare il contagio. L’effetto è bilaterale dato che lo shock ha colpito sia la domanda che l’offerta, bloccando le esportazioni in toto, ogni forma di turismo e la maggior parte delle imprese che non esercitano attività essenziali per quanto riguarda l’offerta. La domanda è drasticamente diminuita di qualsiasi bene al di fuori di ciò che può essere usato all’interno della propria abitazione. L’effetto a catena consiste nel fatto che ogni danno si ripercuoterà su altri elementi direttamente o indirettamente, partendo dallo Stato fino alle attività costrette a chiudere per mancanza di fornitori, merci e servizi necessari a svolgere l’attività.
È un tipo di crisi economica profondamente diversa da quella del 2008, che prevalentemente aveva natura finanziaria e riguardante il settore bancario e creditizio, oltre a nascere in un contesto economico-finanziario mondiale molto diverso rispetto ad oggi e probabilmente più debole.
Questa crisi sembra inoltre colpire solo una parte, seppur grande, dell’economia occidentale. Molti settori sembrano cavarsela addirittura meglio. Basti pensare alle imprese che offrono servizi di streaming come Netflix o i food-delivery come JustEat e Blue Apron (titolo a + 1176% in borsa nelle settimane scorse). O, ancora, colossi come Amazon o di qualsiasi industria sanitaria-farmaceutica. Queste registrano un incremento notevole dei loro rendimenti, creando un nuovo tipo di economia emergente in relazione alla quarantena forzata dei consumatori.
Sul fronte della disoccupazione, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) stima la perdita di almeno 5 milioni di posti di lavoro nel mondo nello scenario a basso impatto con un massimo di quasi 25 milioni nello scenario peggiore.
Una recessione globale è uno degli scenari possibili, se non il più probabile. La sua estensione e durata dipenderanno principalmente dalla gestione e dalle politiche adottate dalle alte sfere dei governi, sia dell’Eurozona che fuori, considerando l’alto livello di incertezza causato dalle misure divergenti adottate dai governi dei paesi più influenti come gli USA e la Cina.
Considerando singolarmente la situazione italiana si stima la perdita del 10% del PIL nei primi 2 trimestri del 2020 con un rapporto deficit/PIL oltre il 5% per il 2021.
La quarantena ha già costretto lo Stato ad indebitarsi ulteriormente per far fronte alla pandemia con manovre per tutelare i cittadini, i posti di lavoro e le attività colpite, specialmente gli imprenditori con partita IVA.
Lo sforamento del deficit autorizzato dall’UE e lo stanziamento di 25 miliardi, di cui 12 utilizzati immediatamente, rappresentano solo l’inizio di una più lunga fila di finanziamenti necessari a conservare il “salvabile” in attesa della fine del fenomeno CoVID19.
Per l’Italia si intravede una recessione al termine della pandemia. Gli effetti e la durata di questa crisi dipenderanno da numerosi fattori che rendono complessa un’analisi ampia e precisa. Generalmente, la gestione della crisi economica degli altri paesi sarà uno dei fattori che influirà sull’entità della crisi economica italiana, cosi come il fatto che la presenza di una politica fiscale-monetaria coordinata a livello europeo (o mondiale) per sostenere finanziariamente i paesi meno virtuosi come l’Italia potrebbe ridurre sensibilmente l’impatto e le conseguenze di una recessione economica post-coronavirus per il nostro Paese.
In sintesi, se il 2020 sarà un nuovo 2008 economico dipenderà per la maggior parte dalle manovre che i governi intraprenderanno nelle prossime settimane e mesi.