
“Non siamo qui per chiudere gli spread, ci sono altri strumenti e altri attori per gestire quelle questioni”.
Con queste parole si è espressa ieri Christine Lagarde, dallo scorso novembre al timone della Banca Centrale Europea. Sono state delle parole dure e significative, che hanno contribuito ad affossare le già deboli borse europee in un baratro mai visto e forse addirittura peggiore di quello dei fatidici giorni del crollo di Lehman Brothers, in quel lontano 2008 i cui spettri si riaffacciano in queste ore.
È necessario chiarire ed analizzare parola per parola, per avere una visione chiara del reale significato e della portata della frase.
Lo spread
Andiamo in ordine: lo spread.
Lo spread, di cui si parla sempre ai telegiornali, è la differenza del rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi. Un titolo di stato è un certificato di credito emesso da uno stato sovrano e acquistabile sul mercato, col quale uno stato si finanzia per coprire le spese a cui deve far fronte. Come ogni prestito, presenta un tasso di interesse che deve essere restituito al creditore. Questo tasso di interesse è tanto più alto quanto maggiore è il rischio; da ciò segue che un basso rischio è associato a un basso tasso di interesse, perché gli acquirenti sono sicuri che lo Stato sarà in grado di ripagarlo. Al contrario, un alto tasso di interesse sui titoli di Stato indica una fiducia più bassa nella solvibilità dello Stato stesso.
I famosi punti di spread sono la differenza tra il tasso di interesse dei titoli di stato italiani e quelli tedeschi. Pertanto, un loro aumento significa un maggiore rischio di insolvenza. Per lo Stato rappresenta una maggiore spesa, perché dovrà pagare un interesse più alto rispetto a prima. Se poi consideriamo l’elevato ammontare del nostro debito pubblico, un aumento di una percentuale anche bassa si traduce in miliardi di euro in interesse in più da pagare; denaro che sarà sottratto ad “uso interno” come mancati investimenti pubblici, mancata riduzione di tasse, o al contrario sarà coperto da un aumento delle tasse. Insomma, più è alto lo spread più paghiamo.
Gli strumenti
La seconda parola della nostra analisi è strumenti. La BCE dispone di strumenti finanziari in grado di fornire liquidità, ad esempio comprando massicciamente titoli di stato con l’obiettivo di ridurre il tasso di interesse.
Il meccanismo è semplice: se nessuno vuole comprare un titolo a un determinato tasso di interesse, quest’ultimo dovrà essere aumentato per rendere il titolo più appetibile agli investitori, che solo allora saranno disposti ad acquistarlo. Gli acquisti in massa di titoli di stato sono stati parte integrante delle politiche della BCE sotto la guida di Mario Draghi.
Gli attori
La terza e ultima parola è attori: altri attori.
Ciò implica che se la BCE non penserà allo spread, dovranno farlo altri – gli Stati e gli investitori privati. Questi ultimi sono decisamente inaffidabili in tempi di incertezza, e ciò è dimostrato dalla volatilità del mercato. Questa è rappresentata dagli scostamenti dei prezzi sui titoli che vengono poi venduti in massa dagli investitori timorosi di perdere il loro denaro. Gli Stati possono agire con quella che in macroeconomia è chiamata politica fiscale, ossia una serie di strumenti variegati per riformare il sistema. Un esempio è la concessione di sussidi alle imprese, il taglio o l’aumento della spesa pubblica o delle tasse e così via.
Cosa significa?
La sintesi della frase pronunciata dal governatore Lagarde significa sostanzialmente che dobbiamo fare da soli con gli strumenti che abbiamo a disposizione. La BCE non metterà a disposizione la sua potenza di fuoco per contrastare la caduta dei mercati.
Una scelta suicida a mio modo di vedere, che testimonia l’incapacità di reagire ad una crisi che sta mettendo in ginocchio un’Europa che dall’altra crisi, quella del 2011, non si è mai del tutto ripresa.
Le parole di Lagarde segnano inoltre un cambio di rotta. Il paragone con il “whatever it takes” del suo predecessore Mario Draghi è immediato: dalla presa di responsabilità di un governatore pronto a tutto pur di salvare il futuro di quell’euro che nel 2012 non era certamente scontato, a una lavata di mani – con l’Amuchina, immagino, vista la situazione – che scarica il peso della crisi, e delle sue conseguenze, sugli stati colpiti.
Il ruolo del governatore e l’importanza della BCE sono cresciuti nel tempo, e le parole dette dai loro vertici hanno effetti palpabili sugli investitori che adattano le proprie scelte a quella che credono sia la politica che adotterà la Banca Centrale.
Il messaggio di ieri ha gettato lo sconforto e il panico in un momento di difficoltà in cui l’autorità della BCE sarebbe stata forse l’unica ancora di salvezza per un mercato con l’acqua alla gola.
E noi con lui.